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“Ninfa e Trasimeno” di Ubaldo Bitossi su “Literary”

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agosto 31, 2017 by MdF

Proponiamo con piacere agli amici di massodellefateblog la lettura della recensione della raccolta di poesie di Ubaldo Bitossi “Ninfa e Trasimeno” uscita sul numero 8/2017 della rivista letteraria online “Literary”. La recensione è firmata da Flavia Buldrini.

 

Ninfa e Trasimeno di Ubaldo Bitossi

Questo grazioso componimento si avvale del linguaggio affabulatorio con cui Ubaldo Bitossi presenta l’avvincente leggenda di Trasimeno – narrata da Matteo dell’Isola nel poema cinquecentesco La Trasimenide -, incorniciata dalle foto artistiche dell’architetto Sergio Fabio Brivio. Affascina questo epos lirico che sorvola a pelo d’acqua la tragedia che vi si è consumata, di un ragazzo, Trasimeno, rimasto intrappolato tra l’intreccio di rami usati per la pesca (detto tuoro), mentre inseguiva il miraggio del suo “amore negato”, la Naiade Viviana, cui resta, come pegno della loro passione, la figlia Greta, aurora di speranza sopra l’immota superficie di morte. Irretito nelle profondità del lago, il giovane continua ad aleggiare con la sua presenza in questo luogo che da lui ha preso il nome, da cui sembra di veder affiorare il  volto suo e della Ninfa. Essi sembrano ancora cercarsi, perseguendo il loro sogno perduto: “Quale amore più grande / del profondo azzurro / che veglia su Greta?! / Naiade che corri veloce / rive e sorgenti, / che attraversi il tempo / come dardo acceso / e lieve inclini la fronte / su Trasimeno, / accendi intorno falò / al suo corpo inerme / ristora con la pietà dell’amata / l’ultima sua partenza.” (Naiade Viviana). Con accenti densi di pathos si canta il tormento di colui che, rincorrendo il riflesso dell’amata come nell’ariostesco Palazzo di Atlante, è rimasto imprigionato in un gorgo di morte e si trova come sospeso, accarezzando nostalgicamente i dolci tratti della sua terra e implorando il conforto della misericordia divina che spezzi l’incantesimo di maledizione del lago: “Se percorro itinerari / che lasciai quieti / alle loro dolci andature / o terre che lambiscono il Lago / d’isole, fruscii e canneti / da nasconderne regine, / dal vostro Trono di Gesso / non potrete mai distinguere / né il passo, né il tratto, / né il sicuro sguardo smeraldo / di quell’amore negato / che neppur lì trovò pace. / (…) Crocicchi e sentieri di Montecchio / lungo vasti campi arati / dall’attesa per sementi e vita, / si comprimono nel cuore / e nella mente affastellata / immagini tese volute di memoria / o in nebbiosi avvolgimenti / del dubbio: / quale percorso mi attende? / Quale incontro ancora / da patire infine a Te gradito, / da rompere ogni maledizione?

Come nell’infernale girone dantesco di Paolo e Francesca, in cui i due amanti sono sospinti dal vento della passione senza “posa”, così Trasimeno e Viviana non trovano tregua al loro destino infausto: “Mentre ti scrivo / il cammino arde e ravviva / lingue di fuoco guizzanti, / scoccanti rumori di legna, / odori ancestrali d’inverno… / e ruota la stanza / nella penombra brumosa / coi quadri appesi / alle loro trascorse immagini, / di pennelli morti da cento generazioni: / cerco il vento / che più mi assomiglia / o le parole fra le chiome dei pini / o forse  i fantasmi / che ricorrono alle mie preghiere? / Parlami anche solo per un commiato, / pronuncia almeno una parola / che sappia di tenerezza / da riscaldar l’anima / oltre le mura di ogni rassegnazione! / È vero ho affondato / il Tuo corpo e il Tuo spirito / nelle profondità contorte / di un Lago maledetto, / ma ti ho teso la mano / che non hai conosciuto, / ti ho offerto il riscatto / che ogni altro amore ha mancato! / (…) Trasimeno, che ti copri di tuori, / Presepio vivente, / sotto oscuri flutti / in cui Inverno terso / dallo stendersi di coltri nebbiose / sotto Cortona, / ripaga, purifica e imbianca, / il cuore venuto a rinfrancarsi / dall’abbandono inutile / e dalla libertà eterna, / sono qui… ancora qui / su questa riva ad aspettarti / e chiederti perdono.” (Ninfa). L’ultima sezione, Post Communio, si addentra nei vicoli fiorentini, fiuta odori e sapori delle proprie origini: “mi affaccio al sole / ad occhi chiusi ne assorbo / luce e calore, / profumi e immagini raccolte / nella profondità: / sto aspettando chi ho invocato, / chi non verrà / oppure l’altro me stesso / di tanti anni trascorsi?” (Via dietro le mura); “Dall’altura il Cassero si protende / fra cerchia di case e vicoli / affogati nelle ferite / che a fiotti scendono a valle: / aspettar la sera / per coglierne profumi / appartenuti ad altri riti! / Il passo arranca in salite / fino al prato e lo sguardo / fra le mura / si stende sul brulichio / luminoso in basso / in strade lontane inaccessibili. / Dall’alto i corvi planano / in grida disumane / anch’essi a lasciare / un giorno stanco / di promesse e memorie / da cui partirà la notte / vento rintocco e sibilo conosciuto.” (Castiglion fiorentino).

Inoltre, rivive tutto il fascino malioso del lago incantato, scenario di un’intensa vicissitudine: “Diatomeico arenile / di lente risacche / e lieve crespo d’acque / in armonici sciacquii / infranti, / partorite un canto / o melodia d’arpa / che possan raccontarmi! / (…) Profondità dello spirito / che mi furon compagne / nel viaggio terreno più breve, / fulminee immagini / balzate agli occhi ansanti / di mille momenti / che potevo render unici / atti di creazione! / (…) Ora che navigo oltre, / veleggiando calme distese / e flutti zaffiro, / ricordo voi, ognuno / su terre approdate, / isole sparse, / lungo itinerari / che mai nessun prima / mi aveva rivelato: / non ho carte, né sestante, / solo infinito orizzonte / e tracce di un angelo / che mi accompagnò ieri!”

Sulla scia malinconica del dramma di Trasimeno e Viviana, si affaccia il rimpianto incarnato in Greta, il frutto del loro amore che lo sventurato giovane non ha neanche potuto conoscere: “Semmai avessi potuto / sfiorarti… / e passar lievi labbra / a contornarti il viso! / Se avessi potuto / seguire… / dolcemente con le dita / l’oro dei tuoi capelli, / mi sarei abbandonato / al tuo abbraccio / senza parole… / senza respiro… / senza movimento… / da non distrarre la tua bellezza.” (Della bellezza).

Infine, questo corpus poetico che segue il modello del poema, si conclude con un commiato, in cui, come nell’Orlando furioso, Ubaldo Bitossi evoca tutti i personaggi che si sono avvicendati nella sua terra e intrecciati alla sua esperienza di vita, per poi veder affiorare, quali “numi tutelari che vegliano sulle esistenze degli uomini che vivono là dove si è svolta la loro storia”- come  scrive incisivamente Eleonora Tozzi nella prefazione – i due principali protagonisti di questa favola in versi che vola leggiera sulle note di un’armoniosa musicalità e ariosa vaghezza: “Dal volo il cormorano / taglia l’acqua crespa / e il corpo penetra / agile in profondità, / scompare… / e riappare più in là: / il lago ondeggia in cerchi, / luccichii di sole assorto / dove per un attimo / i volti appaiono / per sempre uniti / di Ninfa e Trasimeno.” (Sussurri).

 

Flavia Buldrini

trasimeno

 


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